Sinagoga di Urbino

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La sinagoga di Urbino sorge all’inizio di Via Stretta, presso le mura della città.

Quella di Urbino è una sinagoga di rito italiano; ne è prova la dedica che accompagna l’inno a “Dio eterno” composto verso la metà del ‘500 dal rabbino Mordechai Dato, al fine di sottolineare la differenza nel rito, tra gli ebrei italiani e quelli che giungevano dalla Spagna (sefarditi) o dalla Germania (aschenaziti).

All’esterno dell’edificio non ci sono segni che indicano la presenza di un luogo di culto ebraico; l’unico tratto distintivo è dato da una fascia di mattoni volutamente rotti per ricordare ai fedeli la distruzione del Tempio di Gerusalemme.

Sulla facciata si aprono tre portoni: da quello di destra si accede ad un seminterrato dove si trovano il pozzo e il forno, due locali sempre presenti in una sinagoga.

Il pozzo forniva acqua di sorgente per il lavaggio delle mani e il forno veniva usato per cuocere i pani azzimi (i pani dovevano essere cotti nel forno della sinagoga per esser certi che questo non fosse stato utilizzato per cuocere cibi lievitati).

Il portone centrale era l’entrata riservata agli uomini, soprattutto nelle grandi festività quando l’accesso era consentito anche alle donne che entravano dal portone di sinistra per accedere al piano superiore in cui è situato il matroneo (altro elemento sempre presente nelle sinagoghe).

Nell’ingresso c’è una fontanella per il lavaggio delle mani e due lapidi scritte in ebraico: una ricorda l’ospitalità che i duchi di Urbino diedero nelle loro terre agli ebrei che altrove venivano perseguitati, e quella di destra riporta la generosità di Mordechai e Pinchas Coen verso la comunità, quando la sinagoga venne ricostruita nel 1859.

Nella stessa parete si aprono sei bossole per le offerte con le scritte per le diverse destinazioni: per l’olio dei lumi della sinagoga, per i poveri del ghetto, per i libri e perfino per Tiberiade. Lo tzedakà (traducibile con il concetto di carità ma sopratutto giustizia), rientra fra gli obblighi religiosi da rispettare per accogliere degnamente la più grande delle feste: Schabat (il Sabato) e per essere degni di ricevere l’Arvat (la Benedizione serale).

La breve scala conduce su un pianerottolo da cui si aprono due porte: quella della sala del tempio e a destra quella del Talmud-Torà (insegnamento del Talmud), cioè la scuola che tutti gli ebrei, grandi e piccoli, in momenti diversi della giornata, sono tenuti a frequentare: i più piccoli per apprendere i primi rudimenti della lingua ebraica e le storie della Bibbia, e più grandi fino alla vecchiaia, per approfondire la conoscenza non solo della Bibbia, ma sopratutto l’interpretazione contenuta nel Talmud (commento).

A Urbino, questo avveniva in passato quando la comunità ebraica urbinate era così fiorente e numerosa da poter mantenere il rabbino (maestro) e la sua famiglia. Anche lo studio è un obbligo religioso ebraico (indipendentemente dalla condizione economica), poiché ogni ebreo, al compimento del tredicesimo anno di età, deve essere in grado di leggere la Torà (il Pentateuco, cioè i primi 5 libri della Bibbia).

La porta centrale immette direttamente nella sala adibita al culto. E’ a pianta rettangolare, l’ingresso è al centro di uno dei lati lunghi e ha di fronte un’altra porta che esce sul cortile retrostante, (un altro degli elementi sempre presenti in una sinagoga) che veniva utilizzato per allestirvi una capanna di frasche con palme, mirto, salice intrecciati e cedri per la festa di sukkot (capanne), in riferimento ad un’usanza degli antichi ebrei nomadi quando celebravano la festa del raccolto a cielo aperto.

Anticamente il piccolo cortile aveva un ingresso, da cui si accedeva alla casa del custode del tempio, crollata agli inizi del ‘900.

Molti elementi decorativi della sala sono identici a quelli presenti nel duomo di Urbino ; fu infatti il mons. Angeloni legato da stima ed amicizia al presidente della comunità ebraica, a suggerire la linea decorativa.

Sulla parete di fronte, si apre un’alta finestra ad arco che con i 4 lunotti, inonda di luce la sala. Una buona illuminazione era necessaria per adempiere l’obbligo di recitare le preghiere leggendole e mai a memoria.

Nella metà dell’800, a seguito dei lavori di rifacimento, la collocazione della sala e degli arredi, venne mutata, ispirandosi alla sinagoga sefardita della vicina Pesaro. Così anche la sinagoga di Urbino divenne di tipo bipolare, su tre livelli: una doppia scala sale alla tevà che assume l’aspetto di un vero e proprio pulpito; nella parete opposta due gradini salgono al sacro Aròn, (l’arca) e il sottospazio tra questi due elementi è destinato ai fedeli.

L’Aròn o Arca Santa è addossato alla parete, orientato verso Gerusalemme ed é considerato sacro perché contiene i rotoli della Legge (sifre Torà) in cui è scritto il nome di Dio.I rotoli sono di pergamena interamente scritti a mano in caratteri ebraici.

Davanti all’Aròn è sempre accesa una lampada (ner tamid) simbolo della luce eterna della Torà.

L’Aròn (che ha le fattezze di un semplice armadio) è l’elemento più importante della sinagoga; e quando l’edificio venne ristrutturato, l’Aròn precedente non poté essere riutilizzato nel nuovo ambiente; fu così costruito quello attuale in stile neoclassico come il resto della sala a cui lavorarono diversi artigiani locali.

Il vecchio Aròn fino al 1906 si trovava ancora nella sinagoga di Urbino, ora è esposto al Jewish Museum di New York.